I Lettura:
Am 8,4-7
II Lettura:
1Tm 2,1-8
Vangelo:
Lc 16,1-13
Testi di riferimento:
Gs 24,15; 1Re 18,21; Sal 17,13-15; Pr 28,20; Mt 6,24; 24,45; 25,21.23; Lc 11,23; 12,42.47; 14,13-14.26; 18,29-30; 19,17; 20,34-35; Gv 12,36; 14,2-3; 1Cor 3,18-19; 4,2; 9,17; 2Cor 4,17-5,1; 6,15-16; 12,8-9; Gal 1,10; 6,10; Ef 5,8; Fil 3,19; 1Ts 5,5; 1Tm 3,5; 6,17-19; Eb 9,11-12; 1Gv 2,17; Ap 3,15-16
1. Il tema della “amministrazione”. Nella parabola del Vangelo odierno si presentano due tematiche già incontrate in precedenza. Una è quella dell’amministrazione (Lc 12,42ss.) e l’altra quella dello “sperpero” dei beni (15,13). Nella parabola odierna infatti ritorna il verbo “sperperare” (v. 1) a proposito dell’amministratore disonesto. Agli amministratori di queste parabole è richiesto di gestire dei beni appartenenti ad un altro. Il loro sbaglio capitale è quello di farsi padroni, di voler gestire i beni come se appartenessero a loro. Chi adotta questo atteggiamento finisce soltanto per sperperare, per sprecare inutilmente delle proprietà che vanno invece impiegate in modo proficuo. Ma, come per ogni amministrazione, prima o poi arriva la resa dei conti, che consiste innanzitutto nel dover restituire ogni cosa (Lc 12,20); tutto infatti ci sarà tolto. Lo sappiamo benissimo che non conserveremo nulla. Basterebbe solo questo per farci capire che non siamo padroni di nulla. E tuttavia non significa che allora ce ne possiamo infischiare.
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